
Yuasa Battery, il coraggio di non cambiare
Una stagione da film, è questo il sunto che più di altri sintetizza gli ultimi nove mesi di Yuasa Battery. Nove mesi, il tempo biologico necessario per dare origine ad una nuova vita. E in nove mesi a Grottazzolina è cambiato tutto, né più né meno come accade quando ad una vita se ne aggiunge un’altra. E proprio come nelle gravidanze, tutto nasce (è proprio il caso di dirlo) da un ritardo. Grottazzolina, infelice prerogativa che accomuna chi viene promosso dalla A2, prende coscienza di essersi guadagnata un posto in Superlega il 25 aprile 2024, una data ormai destinata a rimanere scolpita per sempre nella storia di questo club. Ma il 25 di aprile le squadre di Superlega per la stagione ventura sono tutte già fatte, nemmeno il tempo di metabolizzare un risultato clamoroso e… si è già in ritardo. Passano le settimane, passano i mesi, ed arriva un secondo ritardo: la Yuasa Battery prende coscienza di poter giocare le gare interne al PalaSavelli di Porto San Giorgio a meno di un mese dall’inizio delle danze.
La piccolissima Grottazzolina al ballo delle grandi, delle più grandi. Monza (vicecampione d’Italia, all’esordio), Perugia, Lube, Trento, Milano, Modena… nomi che sono a pronunciarli iniziano a tremare le gambe. Inutile dirlo, l’inizio è tutto in salita.
Poi, come se non bastasse il gap “naturale” cui deve far fronte una neopromossa, ci si mettono anche gli infortuni: Fedrizzi alla seconda giornata, Petkovic dalla terza. Un po’ come togliere a Trento Michieletto e Lavia, a Verona Mozic e Keita, a Milano Reggers e Kazyiski, pur con le dovute e rispettose proporzioni. Un macigno, più che una tegola.
Il girone di andata termina con il magro bottino di due punti, frutto di altrettanti tie break persi. Un cammino di sole sconfitte, che avrebbe stroncato chiunque e che ha galvanizzato non poco le avversarie, tutte ormai certe dell’identità della vittima sacrificale stagionale.
Eppure a Grottazzolina c’è una caratteristica che più che altrove serpeggia tra le mura degli spogliatoi, ed è la “tigna”. Una “tigna” proverbiale, difficile da tradurre in italiano corrente. Useremo perciò un termine tanto vituperato e di moda per definirla, ovvero “resilienza”.
Il club parla alla squadra, dirigenti (tutti) e giocatori si chiudono nello spogliatoio e si guardano in faccia, perché i panni sporchi si lavano in casa. Nessun urlo, nessuna tensione, solo tanta chiarezza: chi non se la sente è libero di rinunciare alla battaglia; chi resta, però, ci crede fino in fondo, FINO IN FONDO.
Il mercato di riparazione è aperto, nel volley peraltro esso è praticamente sempre aperto; il club decide però di non cambiare quasi nulla. Asseconda un ragazzo che vorrebbe provare a vedere di più il campo, e nulla più. La spina dorsale della squadra rimane immutata: atto di coraggio a detta di molti che ormai avevano smesso di crederci, atto di fede per chi invece in quegli uomini ha creduto sin dal primo allenamento.
Quelle parole nello spogliatoio hanno fatto centro, e le teste basse degli atleti erano quelle dell’ariete che carica, non quelle di chi rinuncia.
“Dobbiamo farci trovare pronti quando arriveranno le nostre occasioni, perché arriveranno” ripete coach Ortenzi ad ogni intervista, fino allo sfinimento. Un mantra.
Le prestazioni non erano mai state remissive, semplicemente giocare con l’organico troppo incompleto rendeva la lotta impari. Serviva recuperare tutti, in primo luogo. E serviva un innesco, la giusta miccia. Click boom.
Il girone di ritorno inizia a Monza, ed arriva la prima vittoria della storia per Grottazzolina in Superlega, in trasferta e col massimo scarto. Click boom.
Non cambiare e non mollare, questi i due meriti straordinari di un gruppo che da lì in poi ha cambiato marcia e sorpreso tutti, persino se stesso. Perché il club aveva preso piena coscienza che retrocedere poteva essere una delle variabili di un’equazione che, quando si parla di sport, di matematico ha ben poco. Ma questo club ha continuato nonostante tutto a mettere al primo posto la sostenibilità, quella di chi non fa i conti per capire quanti punti mancano per salvarsi e come ossessivamente poterli raggiungere costi quel che costi. Bensì quella di chi fa i conti sapendo che oltre un certo confine non può spingersi e che magari si sarebbe potuti tornare senza vergogna nella pur dignitosissima casa da cui si era venuti (la A2), ma che avere quella casa (comunque prestigiosa) andava comunque bene purché si fosse salvaguardato tutto il resto, che è un “resto” fatto di valori, di settore giovanile, di impegno sociale verso un territorio intero, di collaboratori per i quali questo club rappresenta qualcosa in più rispetto al posto da cui attingere qualche denaro e mettersi in mostra. Un club in cui l’essere famiglia vale di più dell’abitare a tutti i costi in una villa con piscina.
In nome di tutto questo non si è speso per cambiare, perché cambiare atleti non era IL problema. La qualità c’era, non era certo quella per poter vincere lo scudetto ma era quella che poteva bastare per raggiungere un obiettivo tanto difficile quanto sperato. E cos’è che spesso permette di realizzare dei risultati incredibili, nello sport come nella vita, quando le capacità ci sono ma non va tutto come si sperava? È il coraggio.
Brava dunque M&G Scuola Pallavolo, brava Yuasa Battery Grottazzolina, perché tu di coraggio ne hai avuto tanto, ed è stato un coraggio particolare: il coraggio di non cambiare!
VF