Diario di Bordo: tappa n. 42

La quarantaduesima tappa del Diario di Bordo vede oggi salire “in navicella” Mattia Minnoni, vice allenatore della nostra Serie A ma anche atleta della Serie D di Grottazzolina. Mattia, conosciuto da tutti come “Paz”, ha iniziato ad amare il volley giocandoci attraverso il classico filo davanti casa. Alle medie poi ha intrapreso a pieno il suo percorso pallavolistico motegiorgrottese e da allora è stato atleta, super tifoso e coach trasmettendo ora questa grande passione anche ai suoi figli tanto che a casa c’è sempre un pallone pronto per essere schiacciato o palleggiato. Oggi vuole raccontarci il suo percorso nella M&G (aneddoti, esperienze, ricordi), come ha tramandato questo enorme amore ai propri figli, come è nato il soprannome “Paz” e tanto altro ancora. Siete pronti a leggere ciò che vuole svelarci? Bene, ed allora … Three, two, one… ignition!

 

Paz: l’atleta, l’allenatore ed il tifoso

Caro diario,

sei pronto ad ascoltare ciò che voglio raccontarti? Allora partiamo da diversi anni fa quando passavo interi pomeriggi davanti casa con i ragazzi più grandi che già frequentavano le medie, compresa mia sorella, ed insieme a loro giocavo con un pallone ed il classico filo perché a quell’età a Montegiorgio quasi tutti praticavano la pallavolo coinvolti dal prof Giancarlo Fagiani, super appassionato.
Quando io sono arrivato alle medie già un pochino sapevo giocare a volley e sono stato invitato a fare il mio primo allenamento: c’era tutta la scuola, si stava insieme, era molto coinvolgente ed emozionante. Poi la fortuna è stata che la nostra annata degli ’81 era costituita da un gruppo unito e talentuoso tanto che in terza media siamo giunti a fare le finali nazionali dei Giochi della Gioventù a Roma arrivando purtroppo secondi ma è stata un’esperienza fantastica.


In una realtà piccola come Montegiorgio la squadra di riferimento era quella dei più grandi che disputava la Prima Divisione e successivamente la Serie D quindi il nostro paragone massimo erano loro e magari “La Nazionale dei Fenomeni” però l’Italvolley era troppo lontana da noi e la vedevi come un miraggio.
L’amore vero e proprio per la pallavolo è nato casualmente quando una sera infrasettimanale dell’inverno 1995 ero col mio team a Grotta per disputare una partita di Under 16 ed il prof Fagiani ci chiese se volevamo rimanere a vedere un match di Coppa Italia di B1 della Videx. Già sapevo che Grottazzolina aveva la squadra in categorie abbastanza alte ma non mi era mai capitato di assistere ad una partita di Serie B; non pensavo neanche che ne sarei stato così interessato. La cosa straordinaria, folgorante fu vedere il Palazzetto che nel giro di poco tempo si è riempito di persone e questi giocatori, allora sconosciuti, erano gli eroi della folla; da quel momento lo sono diventati anche per me.
Fu proprio l’anno della prima promozione in A2: mi sono ritrovato improvvisamente in un ciclone pazzesco e da allora in testa avevo solamente la voglia di far parte ad ogni costo della realtà grottese. È stato un chiodo fisso finché nella stagione 1998/1999 sono approdato finalmente a Grottazzolina coronando, così, il mio sogno ma ero felice a metà ihih poiché volevo arrivare in alto.
Dopo un mese che ero lì ho incominciato ad allenarmi con la prima squadra: ricordo ancora benissimo l’emozione che ho provato quando me l’hanno detto e ho fatto con loro il primo allenamento. Che spettacolo!!! Ripensandoci mi torna in mente anche la grande fatica poiché venivo dalla Prima Divisione e l’iniziale palla a coppie che feci con “Franky” Ferrua m’aveva subito massacrato; per me l’allenamento era già finito ihihih.
Nel 1999/2000 sono stato effettivamente messo in rosa e fu anche il primo anno della maglia col mio nome. Non sai la felicità!! Quando mi chiesero di scegliere fra tre numeri da prendere saltai di gioia tuttavia sono abbastanza fissato: ogni cifra deve avere un significato, una ricorrenza ed alcune proprio non mi piacciono (tra esse il 2 ed il 9). Lo staff mi disse di optare per il 2, il 10 o il 14: non volevo crederci che nessuno avesse preso il numero 10 e quasi incredulo lo scelsi. Mi consegnarono così tutto il materiale: maglia, pantaloncini, borsone, ecc. ma dopo una settimana tornò dalla nazionale Aldazabal a cui avevano dato il 9 perché l’anno prima a Loreto portava quel numero. Il problema era che non lo voleva più ma desiderava proprio prendere il 10 (che aveva in maglia cubana) e me lo scambiarono; perciò mi toccò il 9!! A lui poi rifecero la divisa ihih … io presi direttamente la sua e mi stava larghissima (ero piuttosto minuto). Perciò il mio numero 9 fu un vero e proprio “sbaglio”, un errore ahah.


Quello è stato anche l’anno in cui feci l’esordio in campo in Serie A: era una partita casalinga di Coppa Italia contro Taranto, che in quella stagione vinse il campionato, ed all’improvviso coach Scarduzio mi chiamò dicendomi: Mattia, entra! Io rimasi lì fulminato, di sasso; il mio ingresso fu proprio al posto di Aldazabal che uscì per rifiatare un attimo. Che sorpresa incredibile ed inaspettata!
Cosa rappresenta perciò per me il Mondo M&G? Beh quest’Universo è davvero la mia seconda casa (se non sono tra le mura domestiche sto al Palas ihih), una seconda famiglia. L’ambiente montegiorgrottese, in più di 20 anni, mi ha visto crescere sia come giocatore che come ragazzo ed allenatore. Grotta è una magnifica realtà che mi ha dato la grande fortuna di conoscere tanta gente, di viaggiare per tutta Italia, di frequentare grandissimi campioni che sono stati per me degli insegnanti, facendomi apprendere come essere a livello personale e professionale, ed alcuni “mezzi campioni” che mi hanno fatto capire come non bisogna comportarsi e stare in campo. Ho avuto, in senso positivo o negativo, tanti “maestri” e la stessa cosa è valsa per gli allenatori: ognuno, nel bene o nel male, mi ha lasciato qualcosa (chi più, chi meno).
I momenti vissuti con la M&G sono tesori che porterò sempre dentro di me e di cui voglio fare dono ai giocatori che sono e che verranno a Grotta, ai ragazzi del mio team ed ai miei figli che hanno iniziato a praticare pallavolo. Il desiderio è di salvaguardare ed impreziosire sempre più il bagaglio di esperienze che porto dietro, l’attaccamento alla maglia e a questa realtà piccola ma, nel contempo, grande.
Ora, caro diario, voglio dirti come è nato il mio soprannome “Paz” che ormai è diventato per me un vero e proprio nome, a cui non faccio neanche più caso; ricordo ancora quest’episodio di qualche anno fa: un ragazzo mi chiese come mi chiamassi davvero e mi ha fatto troppo ridere. L’origine del mio soprannome nasce dal fatto che quando venni a giocare a Grotta gli atleti delle giovanili invece di Mattia mi chiamavano Pazzia (c’è ancora qualcuno che lo fa ihih) ed un giorno fu troncato in Paz: non ricordo perfettamente in quale anno ma da quel momento mi è rimasto addosso; penso sia una bella cosa ihih, ormai è parte di me.
Tornando a parlare dell’attaccamento e della passione per la pallavolo, col tempo, credo di averli trasmessi anche ai miei figli: come ti dicevo, hanno incominciato ad allenarsi, a fare le partite, perciò, e ciò mi fa davvero ridere, nel fine settimana si preparano tre divise differenti: la mia che ancora gioco e la loro. Tutto questo per la gioia di mamma Claudia che ci sistema il tutto eheh.
Sono davvero contento di aver tramandato quest’amore ai miei ragazzi e di aver contribuito alla storia della società di cui adesso fanno parte; è una favola che si ripete e penso sia stupendo.
Nei fine settimana in cui non ho le trasferte e posso vedere le loro partite sono entusiasta: condividiamo non solo la questione tecnica, quando hanno dei dubbi mi domandano come fare meglio certe cose, ma anche gli stati d’animo, le preoccupazioni prima della gara, le emozioni e come fare per gestirle. Vederli crescere sotto tutti questi punti di vista è meraviglioso.
Ora ti racconto un episodio che mi ha molto divertito ed emozionato allo stesso tempo: devi sapere che con Massimiliano Ortenzi giocavamo insieme, lui palleggiava ed io ero opposto, e facevamo coppia già allora. Ad una partita vedere il figlio di Massi alzare al mio è stato fare un bellissimo salto indietro, stupendo, senza volerlo un sorrisone mi si è stampato in volto!
A casa, inoltre, gira sempre un pallone mentre si parla, si discute: uno tira la palla all’altro e così via, iniziamo a palleggiare, sempre per la gioia di mamma Claudia mentre magari guarda la tv; ogni tanto parte qualche vaso, un lampadario, il televisore prende una botta e si vive questa bellissima atmosfera insieme. Sono momenti unici!


La stessa passione ho cercato di trasmetterla anche ai ragazzi della Serie D con cui ho giocato nella corrente stagione: sono giovanissimi, giusto un po’ più grandi dei miei figli, potrei considerarli come nipoti e con loro ho potuto mettere in atto sia l’essere allenatore che atleta.
Quest’anno, effettivamente, ho avuto l’occasione di fare il coach (in Serie A) ed il giocatore (in Serie D): è stato “tremendo” svolgerli insieme in Serie D una volta che Francesco Pison era assente ihih poiché da atleta devi pensare molto a ciò che devi fare, al gesto tecnico, alla situazione invece come allenatore è necessario osservare a livello globale te stesso, la tua squadra e quella avversaria. Quando occupi insieme entrambi i ruoli non c’è proprio un attimo di pausa ma separati sono davvero belli ed emozionanti; penso comunque che ogni annata regali una nuova esperienza.
Un altro aspetto complesso, avendo giocato tanti anni, è che magari arrivi all’allenamento, dopo una giornata di lavoro, e vuoi solamente sfogarti quindi il pensiero tuo si focalizza sul fatto di scaricarti invece da mister non puoi, devi gestire il gruppo, le varie situazioni di ognuno ed è molto difficile: è necessario aver un’attenzione totalmente differente.
Penso poi che negli anni il volley sia cambiato: si vede anzitutto a livello tecnico nel senso che ora la pallavolo è diventata molto fisica ed, al contempo, più spettacolare; la tecnica c’è ma ad una velocità, potenza, altezza davvero superiori rispetto a prima. Ricordo che quando ero piccolo amavo vedere il riscaldamento degli atleti, gli attacchi ed il volley era più “arrivabile”, più umano ihih ora è diventato, nell’alto livello, molto d’elite: devi avere caratteristiche ben precise per poterlo praticare ma lo spettacolo è assoluto. Il cambiamento inoltre si riscontra a livello di passione: in passato c’erano solo la scuola e la pallavolo; il volley era un pensiero fisso, anche perché si viveva tanto in un ambiente immerso totalmente in questo sport, ti trasportava ed avvolgeva costantemente. Ciò, secondo me, un po’ si è perso ma il talento c’è, si vede e quando viene fuori unendosi alla passione è veramente una cosa che ti coinvolge e rende felice. Eh sì: sta emergendo una nuova generazione molto interessante; sono davvero contento del futuro che ci aspetta!

Mattia